lunedì 16 gennaio 2012

Il cambiamento: da fonte d’ansia a sorgente creativa.


Chi soffre d'ansia e depressione percepisce molti cambiamenti come perdita.
Di solito i cambiamenti che possono generare ansia o depressione in chi è già predisposto non sono negativi in toto, bensì ambivalenti.
In realtà tutti i cambiamenti sono portatori di qualche aspetto positivo, ma nell’ansioso e nel depresso questo non viene percepito.

Ciò che è stato perduto invade ogni suo pensiero, ed il nuovo stenta ad entrare nella sua vita in quanto “così diverso da prima".  Del nuovo  viene percepito solo ciò che non corrisponde alle sue aspettative, del vecchio solo ciò che piaceva e che “non sarà mai più”.

Questo vale ad esempio per eventi come il cambio di casa: “ho perduto i miei amici, le mie abitudini”, oppure per la nascita di un figlio: “non potrò più fare questo o quest’altro”.

Improvvisamente i motivi che lo hanno spinto al cambiamento vengono chiusi a chiave in un cassetto.


Ci sono poi eventi  che appaiono esclusivamente negativi come la morte o la malattia. In realtà  sono anch’essi portatori di una qualche forma di evoluzione 
che, se  già viene colta con difficoltà da chi  non soffre di depressione, è completamente invisibile per il depresso.

Come sempre l’accettazione è il punto di partenza.

I monaci tibetani con i loro Mandala di sabbia esprimono in maniera prepotente questo concetto: dopo aver lavorato ogni giorno per quasi due settimane per realizzarli li distruggono in pochi minuti, a significare l’impermanenza di tutte le cose.  Il passato va lasciato andare. Questo non significa che va dimenticato, bensì accarezzato senza che questo distolga dal saper riconoscere ciò che nel presente c’è di buono.

Un sorriso, una nuova conoscenza che potrebbe trasformarsi in amicizia, senza tuttavia dover essere caricata di inutili e dannose aspettative che la soffocherebbero, il passo che ogni giorno compiamo nell’apprendimento di nuove mansioni, la possibilità che abbiamo di donare qualcosa di buono al nostro prossimo, il servizio che rendiamo attraverso il nostro lavoro, che non ha come fine ultimo la mera sopravvivenza.  (Matteo  6.31-34: “Non affannatevi dunque dicendo: che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?  Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta").

Nel dolore e nella malattia spesso nascono poi le gemme più preziose che in altro modo non avrebbero modo di manifestarsi: la consapevolezza del valore della salute o di abitudini che si davano per scontate. Se la guarigione non può avvenire o se il trauma è la morte di una persona cara credo sia quasi impossibile scorgere la bellezza di un amore che solo la tragedia rende così eterno e indissolubile. Alcuni nel dolore riscoprono il valore della fede, oppure traggono da esso il senso di un'intera esistenza, decidendo di donarsi per la ricerca, la lotta, il mutuo aiuto.

Nel dolore l’amore abbaglia come in nessun altro contesto.
Nel capitolo nove di Giovanni, il cieco nato e Gesù luce, si apprende come queste cose non accadono perché l’uomo venga punito, perché lo ha meritato, ma perché si possa manifestare la grandezza di Dio amore. Ogni evento ha un senso e un risvolto inatteso.  Sta solo alla nostra mente e al nostro sguardo saperlo cogliere.

martedì 10 gennaio 2012

Amicizia.

Per me lo stare sempre insieme non costituiva
l’elemento fondante, che ritrovavo invece nel
sentimento, nell’ascolto, nel sapere che non 

ha importanza dove e con chi tu sia,
ma che tu stia bene e sia felice, 
nel non avere dubbi che se mai
dovessi alzare la cornetta tu ci sarai, 

nel consiglio, 
nel ritrovarmi ovunque io sia finita.
(Da 'Di Nuovo Viva')


La solitudine è capace di dilatare il tempo.

Eppure la solitudine 
è capace di dilatare il tempo. 
La respiravo nella sua stanza, 
nel silenzio delle sue cuffie assordanti, 
negli sguardi che non volevano parlare, 
negli amici che siamo lontani e che è un
casino venire fin lì 

(Da 'Di Nuovo Viva')


lunedì 2 gennaio 2012

Il rapporto tra giudizio, autostima e ansia.

La nostra autostima prende forma sin dai primi anni di vita.
Spesso chi soffre d’ansia accusa bassa autostima in quanto questa è stata dilaniata da eccessive aspettative di genitori troppo pretenziosi, oppure all’inverso da degrinazioni per scarse attitudini verso alcune attività.
L’autostima può risentire anche di avarizia di elogi (es. ad un buon voto ci si sente semplicemente ripetere che è il nostro dovere) e abbandoni (es. mio padre se n’è andato di casa, pertanto valgo poco).
I giudizi che riceviamo sin dall’infanzia condizionano il giudizio che in età adulta avremo costruito su noi stessi.
Le voci che tendevano ad accusarci si trasformano in voci interiori che condizionano il nostro agire nella sua totalità e la nostra percezione del mondo.  La realtà sarà giudicata con la stessa severità applicata verso noi stessi.
Ma come tutto questo può dar luogo a stati ansiosi o depressivi?
Se abbiamo imparato a dover eccellere in tutto ad ogni nuova prova sentiremo un profondo disagio accompagnato da crisi di panico ed il nostro pensiero predominante sarà qualcosa che assomiglia ad un  “se non riuscirò la mia vita è finita”.
Questo in quanto abbiamo appreso che per meritare l’amore dobbiamo rispettare determinati schemi e modelli di eccellenza.
Se al contrario ci è stata fatta violenza con denigrazioni e avarizia di elogi, faremo di tutto per inseguirli anche in età adulta, ci sentiremo frustrati ed incapaci, ed anche quando saremo bravi in qualcosa la nostra attenzione si sposterà su ciò che non siamo in grado di fare facendoci sentire inadeguati e perennemente sviliti ed afflitti.
Come liberarsi dal giudizio?
La risposta è semplice e complessa allo stesso tempo. 
Vi sono psicologi che predispongono interi percorsi terapeutici proprio sul ristabilimento del corretto dialogo interiore.
Si tratta di accettare noi stessi, i nostri limiti, le nostre incapacità.
Si tratta di perdonarci e di perdonare chi ha usato su di noi questa violenza. 
Si tratta di amare noi stessi ed il prossimo per il solo fatto di esistere, guardando con ammirazione ai pregi (tutti ne abbiamo) e ridimensionando le defezioni.
Una volta accettata la nostra natura di creatura imperfetta potremo finalmente posare su di noi uno sguardo obiettivo e le nostre qualità emergeranno, come una pianta che da sé trova la sua strada verso la luce.
Provate ad immaginare di dover per forza essere Dio. Dio può permettersi di sbagliare? No.
Essendo creatore anche un minimo errore darebbe luogo ad una catastrofe.
Ora provate invece a mettervi nei panni di un bambino. Un bambino ha solo da imparare e gli è consentito sbagliare. Solo con questo stato d’animo è possibile crescere ed allungarsi verso un miglioramento continuo e mai definitivo.
Liberi dall’ansia, non ci sentiremo piu’ paralizzati di fronte a nuove sfide.
Ecco che allora il “se non riuscirò la mia vita è finita” si trasformerà  in  un “farò del mio meglio, vada come vada la mia vità non finirà per questo,  se non riuscirò mi perdonerò e farò dell’altro, non si può eccellere in tutto.”
Liberi dall’ansia del giudizio saremo in grado di ottenere una calma ed una lucidità che ci consentiranno di affrontare ogni nuova sfida con rinnovata energia e positività.