Per arrivare ad una conclusione sono partita da lontano.
Ho iniziato domandandomi quale fosse il ruolo del senso di
colpa.
Dalle ricerche di Freud sugli aborigeni australiani sappiamo
che il senso di colpa affonda le sue radici nel principio dei tempi umani.
Inizialmente l'uomo era come tutti gli altri animali. Faceva le cose senza provare
alcun senso di colpa. L'incesto non era vissuto come peccato, idem la
fornicazione. Poi accadde che dall'incesto nacquero uomini dalle scarse difese immunitarie
che morivano anzitempo. Poi accadde che dalla fornicazione veniva persa l'origine
dell'essere umano e questo comportava problemi di identità. E' da qui che ha origine la colpa. Oggi
proviamo disgusto fin dalla nascita all'idea di condividere la sessualità con
nostro fratello o nostra sorella.
Si chiama coscienza collettiva. Una coscienza
che viene tramandata con il DNA.
La funzione del senso di colpa, quindi, è quella di
preservare la vita. Una funzione assolutamente nobile, ma, che se portata agli
estremi, può renderci dei giudici impietosi nemici della vita.
I motivi del senso di colpa sono scritti nei dieci
comandamenti e nei sette vizi capitali.
Ci sentiamo in colpa se rubiamo, se uccidiamo, se
commettiamo atti impuri, oppure se siamo dediti alla lussuria, se ci
abbandoniamo alla superbia o all'ira.
I dieci comandamenti sono la conseguenza estrema dei sette vizi
capitali. Non commettere atti impuri è l'esasperazione della lussuria, non
uccidere quella dell'ira.
I vizi sono nemici della vita.
Dobbiamo domandarci, per capirlo, cosa accadrebbe se tutti
vi si abbandonassero.
Se tutti si abbandonassero all'ira ad esempio avremmo la
guerra, che significa distruzione della vita.
Se tutti si abbandonassero alla superbia nessuno più
aiuterebbe nessun'altro, e l'uomo da solo potrebbe fare ben poco.
Il vizio è tale solo se portato al suo estremo. Per lussuria
si intende appunto questo. Ma l'istinto sessuale è necessario alla vita, senza
di lui non si potrebbe procreare.
Stessa cosa vale per l'ira, a volte arrabbiarsi è
necessario, ad esempio verso un figlio che prende direzioni che possono nuocergli.
Anche le virtù se portate all'estremo sono nemiche della
vita. Se la castità fosse un valore assoluto porterebbe all'estinzione della
razza umana. Se la carità fosse un
valore assoluto nessuno produrrebbe più nulla e alla fine non ci sarebbe più
nulla da donare.
Eccomi quindi alla conclusione. La via per l'equilibrio è
saperci destreggiare tra vizi e virtù in modo che il frutto finale sia
buono. Se la conseguenza della mia virtù
è la sterilità, se quella del mio vizio è la distruzione sto sbagliando
qualcosa. Se invece il mio albero regala buoni frutti, frutti di amore, di
fratellanza e di vita, la sua radice non si esaurirà, e anche dopo che me ne sarò
andato riecheggerà nel tempo arrivando fino alle future generazioni attraverso
la memoria collettiva.
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